IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL PIEMONTE 
                            Sezione Prima 
 
      
    Ha pronunciato  la  presente  Ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro  generale  446  del  2020,  integrato  da  motivi  aggiunti,
proposto da L ..., in persona del legale rappresentante  pro tempore,
rappresentata  e  difesa   dall'avvocato   Alessandro   Lipani,   con
domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia; 
        Contro Ministero dell'interno,  infrastrutture  e  trasporti,
Ufficio territoriale  del  Governo  di Alessandria,  in  persona  dei
legali    rappresentanti     pro     tempore,     rappresentati     e
difesi dall'Avvocatura distrettuale Torino, domiciliataria ex lege in
Torino, via dell'Arsenale, n. 21; 
    Per l'annullamento per quanto riguarda il ricorso introduttivo: 
        del provvedimento del prefetto della Provincia di Alessandria
prot. ... del ..., contenente  la  comunicazione  che  nei  confronti
della  ricorrente  «risultano  sussistere,  alla  data  odierna,   le
situazioni ostative di cui all'art. 67 e art. 84, comma 2 del decreto
legislativo n. 159/2011 e successive modifiche ed integrazioni»; 
        della nota dell'U.T.G. di Alessandria n. ... del ..., con cui
e' stato trasmesso il provvedimento di cui sopra; 
        del   provvedimento,    adottato    dal    Ministero    delle
infrastrutture e dei  trasporti,  Ufficio  motorizzazione  civile  di
Milano, sezione di Alessandria, prot. ... del ..., con il quale,  sul
presupposto dell'avvenuta adozione dell'atto di cui sopra,  e'  stata
disposta   la    revoca dell'autorizzazione    all'esercizio    della
professione   di   autotrasportatore   su   strada    con contestuale
cancellazione del R.E.N. e dall'Albo degli autotrasportatori; 
        di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguente; 
        per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati in  data  11
gennaio 2021: 
      del provvedimento, adottato dal Ministero delle  infrastrutture
e dei trasporti, Ufficio motorizzazione civile di Milano, sezione  di
Alessandria, prot. ... del ..., con il quale  e'  stata  disposta  la
revoca dell'autorizzazione all'esercizio della professione (A.E.P.) e
la cancellazione dal R.E.N. e dall'Albo degli autotrasportatori; 
        di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguente. 
    Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti  gli  atti  di  costituzione  in  giudizio  del   Ministero
dell'interno,  del  Ministero delle  infrastrutture  e  trasporti   e
dell'Ufficio territoriale del Governo di Alessandria; 
    Relatore  nell'udienza  pubblica  del  giorno  10   marzo   2021,
celebrata con modalita' telematica, la dott.ssa Flavia Risso e  uditi
per le parti i difensori come specificato nel verbale; 
    La societa' ricorrente, L ..., opera nel  settore  dell'ecologia,
svolgendo  attivita'  di  prelievo,  trasporto   e   smaltimento   di
sottoprodotti di origine animale, nonche'  di  raccolta  e  messa  in
riserva di olii esausti vegetali. 
    Per lo svolgimento di qualunque attivita' la ricorrente necessita
di plurime autorizzazioni  amministrative,  quali  le  autorizzazioni
alla raccolta, trasporto e stoccaggio temporaneo di sottoprodotti  di
origine animale,  l'autorizzazione  allo  stoccaggio  provvisorio  di
rifiuti  non  pericolosi,  l'iscrizione  all'Albo  nazionale  gestori
ambientali, l'autorizzazione all'attivita' di messa in riserva di oli
vegetali esausti, l'autorizzazione al trasporto su strada, ecc. 
    Con nota del ... la Camera di commercio  di  Torino  ha  chiesto,
tramite  la  Banca  dati   nazionali   unica,   il   rilascio   della
comunicazione antimafia nei confronti della ricorrente. 
    Con nota del ..., anche l'Ufficio della motorizzazione civile  di
Roma ha chiesto, tramite la Banca dati nazionale unica,  il  rilascio
della comunicazione antimafia nei confronti della ricorrente. 
    Infine, con nota del ..., anche il Centro operativo  dell'Agenzia
delle entrate di Cagliari ha chiesto, tramite la Banca dati nazionale
unica, il rilascio della comunicazione antimafia nei confronti  della
L ... 
    Con  il  provvedimento  prot.  ...  del  ...  il  Prefetto  della
Provincia di Alessandria ha informato la ricorrente della sussistenza
nei suoi confronti delle situazioni ostative di  cui  all'art.  67  e
art. 84, comma 2 del decreto legislativo n. 159 del 2011. 
    Con il ricorso indicato in epigrafe la  ricorrente  ha  impugnato
innanzi a  questo  Tribunale  amministrativo  regionale,  chiedendone
l'annullamento, il provvedimento sopra richiamato, con  il  quale  la
Prefettura di Alessandria disponeva la «comunicazione  antimafia»  di
cui all'art. 84, comma 2, del decreto legislativo n. 159 de1 2011 nei
confronti della L. 
    Il provvedimento risulta essere cosi' motivato: «Considerato che,
dalla documentazione agli atti risulta che A M e P M sono procuratori
della ditta in argomento;  Considerato,  altresi'  che,  socio  unico
della ditta in esame e' M ..., con sede legale a ... e che i relativi
soci di maggioranza sono i suddetti A M, P M (ques'ultimo,  peraltro,
anche amministratore unico) e M M ...; Considerato che,  il  GUP  del
Tribunale di Cagliari, in data ..., ha emesso la sentenza  R.S.  ...,
depositata il ..., a carico dei suddetti M M, P M e A M, tra l'altro,
per il delitto di attivita' organizzate per il traffico  illecito  di
rifiuti di cui agli articoli 110 del codice  penale,  260,  comma  1,
decreto legislativo 3 aprile 2006,  n.  152  -  attualmente  previsto
dall'art. 452-quaterdecies del codice penale - per avere, in concorso
tra  loro,  al  fine  di  conseguire  un   ingiusto   profitto,   con
numerosissime operazioni  e  attraverso  l'allestimento  di  mezzi  e
attivita' continuative e organizzate (utilizzando a tal fine la L ...
e dunque le  sedi,  le  attrezzature,  i  veicoli,  i  dipendenti,  i
contatti, ecc. di  tale  azienda,  predisponendo  numerosi  documenti
falsi: registri, formulari, documenti di trasporto,  ecc.)  riceveva,
trasportava, gestiva e smaltiva abusivamente ingenti quantitativi  di
S.O.A. (sottoprodotti di origine animale) da considerarsi,  nel  caso
concreto, rifiuti (suino sardo a rischio di contaminazione  di  peste
suina, carcasse di ovini morti per la c.d.  «lingua  blu»,  parti  di
bovino a rischio del morbo della c.d.  «mucca  pazza»,  ovvero  altro
materiale a questi commisto e/o  comunque  destinato  dal  produttore
alla distruzione). Attivita' abusiva  in  quanto  effettuata  per  un
verso da soggetti non  autorizzati  e  destinando,  in  concreto,  il
predetto materiale non alla  distruzione/smaltimento  nell'Isola  ma,
previo trasporto fuori dalla regione, alla produzione  di  farine  ed
oli, da utilizzarsi poi per la preparazione di mangimi per animali ed
altro.  Dagli  atti  giudiziari   risulta   che   il   profitto   era
rappresentato, da un lato, dal pagamento da parte dei  produttori  di
un prezzo per lo smaltimento -  che  pero'  non  veniva  regolarmente
effettuato  -  e  dall'altro  dall'ottenimento  di  «materie   prime»
(seppure illegali) utili per  la  filiera  produttiva  sopraindicata.
Detto profitto risulta stimabile in circa 1.700.000 euro annuali  per
il risparmio del mancato regolare smaltimento, al quale  va  aggiunto
il valore quale materia prima e dunque i guadagni  della  conseguente
attivita' produttiva,  detratte  le  spese  (trasporti,  lavorazioni,
ecc.). Considerato che la  Corte  di  appello  di  Cagliari,  seconda
sezione penale, con nota pervenuta il ..., ha trasmesso  copia  della
sentenza n. ... in data ..., depositata in data ...,  con  la  quale,
tra l'altro, nei confronti dei predetti M M, P  M  e  A  M  e'  stato
confermato il  delitto  di  attivita'  organizzate  per  il  traffico
illecito di rifiuti di cui agli articoli 110 del codice penale,  260,
comma 1, decreto legislativo  3  aprile  2006,  n.  152,  attualmente
previsto dall'art. 452-quaterdecies del codice penale;  Visto  l'art.
67,  comma  8  del  decreto  legislativo  n.  159/2011  e  successive
modificazioni ed integrazioni prevede  come  situazioni  ostative  al
rilascio  della  liberatoria  antimafia  le  condanne  con   sentenza
confermata in grado di appello per uno dei delitti  di  cui  all'art.
51, comma 3-bis del  codice  procedura  penale,  tra  cui  figura  il
delitto configurato dall'art. 260, decreto legislativo 3 aprile 2006,
n. 152 e, attualmente, previsto dall'art. 452-quaterdecies del codice
penale». 
    La comunicazione antimafia di che trattasi,  pertanto,  trova  la
propria giustificazione esclusivamente nella condanna, da parte della
Corte di appello di Cagliari, con la sentenza n.  ...  del  ...,  dei
signori A , P e M M (soci di maggioranza del socio unico - M -  della
ricorrente e A e P M, anche procuratori della L ...), per il reato di
«Attivita' organizzate per il traffico illecito di rifiuti». 
    La ricorrente con il ricorso  in  epigrafe  ha  sollevato  cinque
censure di seguito elencate: 
        1) violazione e falsa applicazione degli articoli 67, 84,  ed
85 del decreto legislativo n. 159 del 2011, dell'art. 51, comma 3-bis
del codice di  procedura  penale  e  dell'art.  452-quaterdecies  del
codice penale, difetto assoluto dei  presupposti  e  di  motivazione,
difetto di istruttoria, illogicita' e travisamento; 
        2) violazione e falsa applicazione degli articoli  67  ed  84
del decreto legislativo n. 159 del 2011, dell'art.  51,  comma  3-bis
del codice di  procedura  penale  e  dell'art.  452-quaterdecies  del
codice penale, difetto assoluto dei  presupposti  e  di  motivazione,
difetto di istruttoria, illogicita' e travisamento; 
        3) violazione e falsa applicazione degli articoli 67, 84,  91
del decreto legislativo n. 159 del 2011 e dell'art. 3 della legge  n.
241 del 1990, difetto di istruttoria e di motivazione, violazione del
principio   di   proporzionalita'    ed    adeguatezza    dell'azione
amministrativa (art. 1 della legge n. 241 del 1990) -  illogicita'  -
travisamento; 
        4) violazione e falsa applicazione degli articoli 1 e 7 della
legge n. 241 del 1990 e del principio comunitario del contraddittorio
procedimentale, vizio del procedimento, difetto  di  istruttoria;  in
via subordinata: incostituzionalita' dell'art. 88 per  contrasto  con
art. 117, comma l, della Costituzione; 
        5)  in   via   subordinata:   illegittimita'   costituzionale
dell'art. 67, comma 8, del decreto legislativo n. 159 del 2011,  come
richiamato dal secondo  comma  dell'art.  84,  per  contrasto  con  i
principi di proporzionalita' e ragionevolezza di cui all'art. 3 della
Costituzione e con gli articoli 25, 27, 38 e 41 della Costituzione. 
    Il Ministero dell'interno, il Ministero  delle  infrastrutture  e
dei trasporti e la Prefettura - Ufficio territoriale del  Governo  di
Alessandria, si sono costituiti in giudizio, chiedendo che il ricorso
venisse respinto in quanto infondato in tutte le sue censure. 
    Con decreto cautelare del Presidente di questo Tribunale  n.  ...
del ..., sussistendo i presupposti di estrema gravita' e  urgenza  ex
art. 56 del codice del processo amministrativo, e' stata  accolta  la
domanda cautelare e, conseguentemente, sospesa l'efficacia  dell'atto
impugnato. 
    Con ordinanza  n.  ...  del  ...  questo  Tribunale  ha  respinto
l'istanza cautelare presentata congiuntamente  al  ricorso  ritenendo
che, seppur ad un sommario esame tipico  della  fase  cautelare,  non
sussistessero profili di  fondatezza  poiche':  «-  il  provvedimento
impugnato e' stato adottato dal  Prefetto  di  Alessandria  ai  sensi
dell'art. 67 e 84,  comma  2  del  decreto  legislativo  n.  159  del
2011; trattasi  dunque,  come  gia'  evidenziato  nel   decreto   del
Presidente del Tribunale  n.  ...  del  ...,  di  una  "comunicazione
antimafia", avendo appreso che  la  Corte  di  appello  di  Cagliari,
seconda  sezione  penale,  n.  ...  del  ...,  aveva,  tra   l'altro,
confermato, nei confronti dei signori M M, P M e A M, il  delitto  di
attivita' organizzate per il traffico illecito di rifiuti di cui agli
articoli 110 del codice penale, 260 comma 1 del decreto legislativo 3
aprile 2020, n. 152, oggi  previsto  dall'art.  452-quaterdecies  del
codice penale, delitto previsto all'art. 51, comma 3-bis  del  codice
di procedura  penale,  e  dunque  rientrante  tra  "i  delitti  spia"
richiamati dall'art. 67, comma 8 del decreto legislativo n.  159  del
2011 (sul punto del Consiglio di  Stato,  sezione  III,  27  dicembre
2019, n. 8883; Consiglio di Stato, sezione III,  2  maggio  2019,  n.
2855; Consiglio di Stato, sezione  III,  18  giugno  2019,  n.  4125;
Consiglio di Stato, sezione III, 8 marzo 2017,  n.  1108); l'art.  85
del decreto legislativo n. 159 del 2011 prevede che la documentazione
antimafia, se si tratta di associazioni, imprese, societa',  consorzi
e raggruppamenti temporanei di imprese, deve riferirsi, oltre che  al
direttore tecnico, ove previsto, per  lo  societa'  di  capitali,  al
socio in caso di societa' con socio  unico; dagli  atti  di  giudizio
risulta che il socio unico della L ... sia  la  M  ...,  avente  come
amministratore  unico  P  M  (il  quale  pertanto  non  era  solo  il
procuratore  della  L  ...); ritenuto  che  l'art.  85,  laddove   fa
riferimento al socio unico, debba intendersi riferirsi anche al socio
unico  persona  giuridica  (e  quindi  ai  legali  rappresentanti   e
componenti   dell'organo   di   amministrazione   di   quest'ultima),
considerato che, altrimenti, tale organizzazione societaria  potrebbe
prestarsi a facili elusioni della norma; ritenuto pertanto  integrati
i presupposti di cui al combinato disposto degli articoli 67, commi 1
e 8, 84, comma 2 e 85 del decreto legislativo n. 159  del  2011;  (in
termini, Consiglio di Stato, sezione III, 18 giugno 2019, n.  4125)»;
- per quanto riguarda la questione della tutela  del  contraddittorio
nei  procedimenti  in  esame,  il  Collegio  condivide  la  posizione
espressa dal Consiglio di Stato con la sentenza della sezione III, 31
gennaio 2020, n. 820 secondo  la  quale  «...  la  delicatezza  della
ponderazione intesa a  contrastare  in  via  preventiva  la  minaccia
insidiosa  ed  esiziale  delle  organizzazioni   mafiose,   richiesta
all'autorita' amministrativa, puo' comportare anche  un'attenuazione,
se non una eliminazione, del contraddittorio procedimentale, che  del
resto non e' un valore assoluto, come ha pure chiarito  la  Corte  di
Giustizia  UE  nella   sua   giurisprudenza   (ma   v.   pure   Corte
costituzionale: sent. n. 309 del 1990 e sent.  n.  71  del  2015),  o
slegato dal doveroso contemperamento di esso con interessi di pari se
non superiore rango costituzionale ...» (Consiglio di Stato,  sezione
III, 9 febbraio 2017,  n.  565)";  per  completezza,  in  merito,  si
evidenzia che la Corte di giustizia dell'Unione europea,  chiamata  a
pronunciarsi sulla questione dal Tribunale  amministrativo  regionale
per la Puglia, sede di Bari, con l'ordinanza n.  28  del  13  gennaio
2020  (ordinanza  richiamata  dalla  ricorrente  nel   gravame),   ha
dichiarato  la  domanda  di  pronuncia  pregiudiziale  manifestamente
irricevibile». 
    Per   quanto   riguarda    infine    le    due    questioni    di
incostituzionalita' sollevate dalla  ricorrente  nel  gravame,  l'una
relativa all'art. 88 del decreto legislativo n. 159 del 2011, per  la
violazione dell'art. 117, comma primo, della  Costituzione,  giacche'
in contrasto con trattati cui l'Italia ha aderito e con la  normativa
comunitaria, l'altra  relativa  all'art.  67,  comma  8  del  decreto
legislativo n. 159  del  2011,  come  richiamato  dal  secondo  comma
dell'art. 84 del medesimo testo normativo, il Tribunale, prima facie,
aveva ritenuto che fossero infondate, ma che comunque fosse opportuno
un approfondimento in sede di merito. 
    L'ordinanza di questo Tribunale e'  stata  impugnata  innanzi  al
Consiglio  di  Stato  il  quale,  come   emerge   chiaramente   dalle
considerazioni formulate nell'ordinanza n. ... del ..., ha  condiviso
nel merito il contenuto dell'ordinanza di questo Tribunale: «Premesso
che: la comunicazione antimafia impugnata nel primo grado di giudizio
trae origine dalla condanna "ostativa",  ex  art.  67,  comma  8  del
decreto legislativo  n.  159  del  2011,  riportata  dal  sig.  P  M,
amministratore unico  della  societa'  M  -  socia  unica  della  qui
ricorrente L ... ; la  condanna  pertiene  al  delitto  di  attivita'
organizzate per il traffico illecito di rifiuti di cui agli  articoli
110 del codice penale, 260 comma l del decreto legislativo  3  aprile
2020, n. 152, oggi previsto  dall'art.  452-quaterdecies  del  codice
penale, contemplato nell'art. 51, comma 3-bis del codice di procedura
penale  e,  dunque,  rientrante  tra  "i  delitti  spia"   richiamati
dall'art. 67, comma 8 del decreto legislativo  n.  159  del  2011; la
pronuncia (emessa dalla Corte di appello di  Cagliari  e  non  ancora
definitiva), ha escluso espressamente che  "nella  vicenda  in  esame
possa ritenersi configurata la fattispecie ex  art.  416  del  codice
penale..." Ritenuto che: le deduzioni svolte dalla  parte  ricorrente
con il primo motivo di appello  non  paiono  rivelare,  ad  un  primo
esame, evidenti profili di  fondatezza,  in  quanto:  I)  la  formula
"socio in caso di societa' con socio unico" di cui all'art. 85, comma
2, lettera c) del decreto  legislativo  n.  159/2011  non  limita  la
verifica antimafia al  socio  "persona  fisica",  sicche'  essa  puo'
intendersi  estesa  anche  al  socio  "persona  giuridica";  II)  per
conferirle  un  senso  utile  sul  piano  applicativo  e'   possibile
raccordare la lettera c) alla lettera b) del medesimo comma dell'art.
85 e, quindi, concludere che la verifica antimafia debba estendersi a
tutti gli esponenti della compagine sociale ivi indicati, incluso tra
questi l'amministratore  unico;  III)  non  offre  argomenti  a  cio'
contrari  la  lettera  i)  dell'art.  85  comma  2,  in  quanto  essa
interviene  in  altro  e  peculiare  ambito  (contrassegnato  da   un
differente regime di responsabilita' sociale) e al deliberato fine di
portare la linea dei controlli al livello dei "reali" detentori delle
quote sociali,  quand'anche  schermati  dietro  compagini  societarie
(personali o di capitali) formalmente detentrici delle partecipazioni
societarie; IV) cosi' intesa, la ratio dell'art. 85 comma 2,  lettera
i) sembra deporre in senso contrario alla lettura  della  lettera  c)
proposta  dalla  parte   appellante,   la   quale,   d'altra   parte,
determinerebbe una lacuna nel sistema antimafia di non  poco  momento
nel caso (non infrequente) di societa' di capitali a socio unico». 
    Tuttavia, il Consiglio di Stato  ha  ritenuto  che  le  questioni
concernenti i profili di compatibilita' costituzionale,  sulle  quali
questo  Tribunale  si  era  riservato  di  svolgere  piu'   analitici
approfondimenti,  dovessero  essere  sollecitamente  esaminate  nella
opportuna sede della  cognizione  di  merito;  pertanto,  ha  accolto
l'appello e, per l'effetto, ha accolto l'istanza  cautelare  ai  soli
fini della sollecita  fissazione  dell'udienza  di  merito  ai  sensi
dell'art. 55, comma 10, del codice del processo amministrativo. 
    All'udienza del 10 marzo 2021, la causa e'  stata  trattenuta  in
decisione. 
    Il Collegio ritiene opportuno procedere ad un breve inquadramento
normativo della fattispecie oggetto della presente controversia. 
    L'art. 84, comma 2 del decreto legislativo 6 settembre  2011,  n.
159 «Codice delle leggi antimafia  e  delle  misure  di  prevenzione,
nonche' nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia,  a
norma degli articoli 1 e 2  della  legge  13  agosto  2010,  n.  136»
recita: «La comunicazione antimafia consiste nell'attestazione  della
sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione  o
di divieto di cui all'art. 67». 
    Ebbene,  come  evidenziato   nello   stesso   provvedimento,   la
Prefettura di Alessandria ha fatto applicazione dell'art. 67, comma 8
del  decreto  legislativo  159  del  2011  in  forza  del  quale  «Le
disposizioni dei commi l, 2 e 4  si  applicano  anche  nei  confronti
delle persone condannate con sentenza  definitiva  o,  ancorche'  non
definitiva, confermata in grado di appello, per uno  dei  delitti  di
cui all'art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale  nonche'
per i reati di cui all'art. 640, secondo comma,  n.  1),  del  codice
penale, commesso a danno dello Stato o di un altro ente  pubblico,  e
all'art. 640-bis del codice penale». 
    L'art. 67, ai commi 1, 2 e 4 recita «1. Le persone alle quali sia
stata applicata con provvedimento  definitivo  una  delle  misure  di
prevenzione previste dal libro I,  titolo  I,  capo  II  non  possono
ottenere: 
        a) licenze o autorizzazioni di polizia  e  di  commercio;  b)
concessioni di acque pubbliche e diritti  ad  esse  inerenti  nonche'
concessioni  di  beni  demaniali  allorche'   siano   richieste   per
l'esercizio  di  attivita'   imprenditoriali;   c)   concessioni   di
costruzione   e   gestione   di   opere   riguardanti   la   pubblica
amministrazione e concessioni  di  servizi  pubblici;  d)  iscrizioni
negli elenchi di appaltatori o di fornitori di opere, beni e  servizi
riguardanti la pubblica amministrazione, nei registri della camera di
commercio per l'esercizio del commercio all'ingrosso e  nei  registri
di commissionari astatori presso i mercati annonari all'ingrosso;  e)
attestazioni di qualificazione per eseguire lavori pubblici; f) altre
iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio, o
abilitativo per lo svolgimento di attivita' imprenditoriali, comunque
denominati; g) contributi, finanziamenti o mutui agevolati  ed  altre
erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati
da parte dello Stato,  di  altri  enti  pubblici  o  delle  Comunita'
europee, per lo svolgimento di attivita' imprenditoriali; h)  licenze
per detenzione e porto d'armi,  fabbricazione,  deposito,  vendita  e
trasporto di materie esplodenti. 2. Il  provvedimento  definitivo  di
applicazione della misura di prevenzione determina  la  decadenza  di
diritto  dalle  licenze,  autorizzazioni,  concessioni,   iscrizioni,
attestazioni, abilitazioni ed erogazioni di cui al comma  1,  nonche'
il divieto di concludere contratti  pubblici  di  lavori,  servizi  e
forniture,  di   cottimo   fiduciario   e   relativi   subappalti   e
subcontratti, compresi i cottimi di qualsiasi tipo, i noli a caldo  e
le forniture con posa in opera. Le licenze, le  autorizzazioni  e  le
concessioni sono ritirate e  le  iscrizioni  sono  cancellate  ed  e'
disposta  la  decadenza  delle  attestazioni  a  cura  degli   organi
competenti...4. Il tribunale,  salvo  quanto  previsto  all'art.  68,
dispone che i divieti e le decadenze previsti dai commi 1 e 2 operino
anche nei confronti di chiunque conviva  con  la  persona  sottoposta
alla  misura  di  prevenzione  nonche'  nei  confronti  di   imprese,
associazioni, societa' c consorzi di  cui  la  persona  sottoposta  a
misura di prevenzione sia amministratore  o  determini  in  qualsiasi
modo scelte e indirizzi. In tal caso i divieti sono efficaci  per  un
periodo di cinque anni». 
    L'art. 51, comma 3-bis del codice di procedura penale, richiamato
dall'art.  67,  comma  8,   nella   versione   vigente   al   momento
dell'adozione del provvedimento impugnato, recita: «Quando si  tratta
dei procedimenti per i delitti, consumati  o  tentati,  di  cui  agli
articoli 416, sesto e settimo comma, 416, realizzato  allo  scopo  di
commettere taluno dei delitti di cui all'art. 12, commi  3  e  3-ter,
del  testo  unico  delle  disposizioni  concernenti   la   disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al
decreto legislativo 25 luglio 1998,  n.  286,  416,  realizzato  allo
scopo di commettere delitti previsti dagli articoli 473 e  474,  600,
601, 602, 416-bis, 416-ter, 452-quaterdecies e 630 del codice penale,
per i delitti commessi  avvalendosi  delle  condizioni  previste  dal
predetto articolo 416-bis ovvero al  fine  di  agevolare  l'attivita'
delle associazioni previste dallo  stesso  articolo,  nonche'  per  i
delitti previsti dall'art. 74 del testo unico approvato  con  decreto
del Presidente della Repubblica 9 ottobre  1990,  n.  309,  dall'art.
291-quater del testo unico approvato con decreto del Presidente della
Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, le funzioni indicate nel comma  1,
lettera a) sono attribuite all'ufficio del pubblico ministero  presso
il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito  ha  sede  il
giudice competente». 
    Sull'interpretazione di tale norma si e' espressa piu'  volte  la
Cassazione. 
    Interessante, ai nostri fini, e' soprattutto la recente  sentenza
della Cassazione del 12 aprile 2019, n. 16123 la quale, a  fronte  di
un precedente orientamento secondo il quale, quando il reato  di  cui
all'art. 452-quaterdecies del codice  penale  non  e'  realizzato  in
forma associativa non dovrebbe applicarsi la deroga ai criteri  sulla
competenza di cui all'art. 51, comma 3-bis del  codice  di  procedura
penale, ha chiarito quanto segue: «la decisione richiamata  evidenzia
che  l'eccezionalita'  del  criterio  in   deroga   derivante   dalla
previsione di cui all'art. 51 del codice di procedura  penale,  comma
3-bis dovrebbe imporre un'interpretazione restrittiva,  in  guisa  da
limitare l'operativita' del criterio medesimo alle  sole  ipotesi  in
cui si tratti di un reato associativo, sia pure in senso lato,  cosi'
prestando ossequio al principio del  giudice  naturale  precostituito
per legge, anche  a  salvaguardia  di  un  efficiente  esercizio  del
diritto di difesa. Tuttavia,  come  e'  stato  gia'  osservato  dalla
decisione successivamente  emessa  sempre  in  sede  di  legittimita'
(Sezione 1, n. 43599 del 5 luglio 2017, cit.),  la  ragione  posta  a
giustificazione della  richiamata  tesi  non  appare  persuasiva:  la
scelta operata all'art. 51 del  codice  di  procedura  penale,  comma
3-bis, e' di natura normativa e predetermina per una serie  di  reati
il criterio di attribuzione delle funzioni del pubblico ministero, su
cui si ritiene, sulla scorta della comune prospettiva  fatta  propria
dalle interpretazioni richiamate, radicata di riflesso la  competenza
territoriale del giudice. Distinzioni all'interno  del  catalogo  non
risultano compiute dal legislatore e appare arduo estrapolare da esso
la categoria dei reati a struttura associativa o, comunque,  connessi
a fattispecie associativa, da cui dovrebbe restare escluso il decreto
legislativo n. 152  del  2006,  art.  260...  Anzi,  l'apertura  alla
selezione -all'interno del novero dei reati per i quali la  norma  ha
previsto quella specifica disciplina della  competenza  territoriale-
di quelli inidonei ad esercitare la medesima vis attractiva, potrebbe
a sua volta - e  al  di  la'  delle  intenzioni,  volte  a  garantire
maggiore prossimita' della giurisdizione e piu' efficace  tutela  del
diritto  di  difesa  -  determinare  effetti  distonici  rispetto  al
principio  costituzionale  del  giudice  naturale  precostituito  per
legge, per  l'incertezza  che  obiettivamente  da  essa  deriverebbe.
Invero, i delitti di cui all'art. 51 del codice di procedura  penale,
comma 3-bis (al pari di quelli  di  cui  all'art.  51  del codice  di
procedura penale, commi 3-quater e 3-quinquies) individuano,  per  la
maggior parte, fattispecie di natura associativa, ma piu' in generale
evocano condotte antigiuridiche radicate in fenomeni di  criminalita'
organizzata  che,  alla  stregua  dell'esperienza   vissuta   e   dei
conseguenti rimedi ordinamentali apprestati,  necessitano  di  essere
contrastati con indagini  che  abbiano  un  coordinamento  accentrato
negli uffici distrettuali del pubblico ministero  disciplinati  dallo
stesso art. 51 del codice di procedura  penale,  con  gli  effetti  a
cascata in punto  di  competenza  territoriale  ritenuti  ineludibili
dall'esegesi  richiamata.  Tuttavia  non  poche  di   queste   figure
criminose comunque implicanti un rilevante tasso di allarme sociale e
in generale tali da  presupporre  una  struttura  organizzativa  alla
rispettiva base - struttura organizzativa che  giustifica  per  tutte
quelle fattispecie la deroga ai criteri  ordinari  di  riparto  della
competenza, senza percepibile vulnus dell'art. 25 della  Costituzione
- non riguardano direttamente reati aventi carattere associativo  (si
possono ricordare, oltre a quello qui in esame, i reati di  cui  agli
articoli 600, 601, 602 e 630 del codice penale). Per tali reati,  pur
connotati  da   ragioni   specifiche   che   ne   hanno   determinato
l'inserimento  nell'indicato  catalogo,   potrebbe,   in   linea   di
principio, apparire ragionevole proporre un binario derogativo  delle
ordinarie regole di competenza piu' circoscritto di quello  implicato
dall'art. 51 del  codice  di  procedura  penale,  prospettiva  a  cui
potrebbe, sempre in linea di principio, obiettarsi che anche per quei
reati  puo'  ordinariamente  verificarsi   che   la   loro   concreta
configurazione, pur senza base associativa, risulti in  concreto  con
articolazioni fattuali di complessita' tale da confortare ancor  oggi
la scelta ordinamentale in commento. Si tratta, in ogni caso, di  una
prospettiva de iure condendo: invero, a  fronte  della  nettezza  del
dato  normativa,  non  si  considera  possibile  pervenire   in   via
interpretativa alla creazione di una sorta di  doppio  binario  nella
configurazione   delle   caratteristiche   e   dei    limiti    della
corrispondente competenza per territorio determinata  da  ragioni  di
connessione, giacche' esso si fonderebbe su elementi  non  risultanti
da criteri predeterminati per legge: criteri che il legislatore,  pur
avendo (con  il  decreto  legislativo  n.  21  del  2018)  mutato  la
collocazione ordinamentale al reato in esame, da decreto  legislativo
n. 152 del 2006, art. 260 ad art. 452-quaterdecies del codice penale,
non ha, allo  stato,  modificato.  Si  ritiene,  pertanto,  di  dover
ribadire  il  principio  secondo   cui,   in   tema   di   competenza
territoriale, non e' consentito  operare  alcuna  distinzione  tra  i
reati elencati nell'art. 51 del codice  di  procedura  penale,  comma
3-bis, con la conseguenza che, ove si proceda per  uno  qualsiasi  di
essi  e  per  reati  connessi,  anche  piu'  gravi,   la   competenza
territoriale del  primo  esercita  una  vis  attractiva  anche  sugli
altri». 
    Pertanto, tra le cause  che,  in  base  alla  normativa  vigente,
determinano una condizione  ostativa  automatica  al  rilascio  della
liberatoria antimafia sussiste anche quella della condanna, ancorche'
non definitiva, ma confermata in grado di appello, per il delitto  di
cui  all'art.   452-quaterdecies   del   codice   penale   «Attivita'
organizzate per il traffico illecito di rifiuti», anche  nella  forma
non associativa. 
    Dopo il breve inquadramento normativo  della fattispecie  oggetto
della  presente  controversia,  si  procede  a  valutare  se  risulta
possibile un'interpretazione costituzionalmente orientata delle norme
interessate dalla questione in esame. 
    Il    Collegio    non    ritiene    prospettabile    un'eventuale
interpretazione  costituzionalmente  orientata  delle  norme  di  che
trattasi, cosi' come richiesto dalla ricorrente nel terzo  motivo  di
ricorso e ribadito nella memoria del 5 febbraio 2021.  La  ricorrente
sostiene infatti che anche nelle ipotesi previste dal comma dell'art.
67 del decreto legislativo n. 159 del 2011, non possa  essere  emessa
la comunicazione antimafia senza aver verificato in concreto  che  il
reato si riconnetta all'attivita' delle organizzazioni  criminali  di
stampo mafioso. Secondo la ricorrente, anche nel caso in cui  si  sia
in presenza della condanna per uno dei cc.dd. delitti spia,  infarti,
non potrebbe negarsi la necessita'. di una adeguata  motivazione  che
dia conto, con autonomo apprezzamento, delle circostanze per cui,  in
base  alla  ricostruzione  fattuale   e   giuridica   contenuta   nel
provvedimento giurisdizionale, sia  lecito  dedurre  che  l'attivita'
d'impresa possa, anche in  modo  indiretto,  agevolare  le  attivita'
criminose o esserne in qualche modo condizionata. 
    La ricorrente sostiene che  l'elencazione  di  cui  all'art.  67,
comma 8, del decreto legislativo n. 159 del 2011, non sia  altro  che
una semplice  estensione  della  nozione  di  reato  spia  desumibile
dall'art. 91, con la  conseguenza  che,  quand'anche  si  ravvisi  la
ricorrenza di una condanna ex art.  67,  comma  8,  il  Prefetto  non
risulterebbe affatto esonerato  dall'onere  motivazionale  in  ordine
alla sussistenza di circostanze «gravi, precise e concordanti» che  -
in aggiunta al precedente penale - conducano a ritenere il soggetto a
rischio di infiltrazione. 
    Contro l'interpretazione prospettata dalla ricorrente  milita  il
preciso dato testuale della norma che non consente un'interpretazione
diversa  da  quella  costantemente   offerta   dalla   giurisprudenza
amministrativa. 
    Invero, il Consiglio di Stato  ha  piu'  volte  ribadito  che  la
comunicazione antimafia e' un provvedimento vincolato emanabile  solo
in presenza di determinati, tassativi, requisiti, previsti  dall'art.
84, comma 2, del decreto legislativo n. 159 del 2011 (tra  le  tante,
del Consiglio di Stato, sezione III, 18 giugno 2019, n. 4145). 
    Diversamente, si finirebbe  per  stravolgere  il  significato  di
chiare disposizioni normative. 
    La  cd.  «lettera»  della  legge  non  puo'  essere   travalicata
attraverso l'interpretazione, al punto di pervenire  ad  una  vera  e
propria «disapplicazione» del testo normativo. 
    Sul punto, la Corte costituzionale ha  chiarito  che,  quando  il
rimettente prospetta la via dell'interpretazione conforme ma  esclude
che   essa   sia   percorribile,   la   questione   di   legittimita'
costituzionale che ne deriva non puo' ritenersi inammissibile e  che,
al contrario, laddove l'univoco tenore letterale  della  disposizione
precluda  un'interpretazione  conforme,  s'impone  il  sindacato   di
legittimita' costituzionale (in  termini,  Corte  costituzionale,  14
dicembre 2017, n. 268). 
    La Corte costituzionale ha precisato che l'obbligo di  addivenire
ad  un'interpretazione  conforme  alla  Costituzione  deve,  infatti,
cedere il passo all'incidente di legittimita' costituzionale, laddove
essa sia incompatibile con il tenore  letterale  della  disposizione,
evidenziando che quando non e' possibile  trarre  dalla  disposizione
alcuna norma conforme alla Costituzione,  il  giudice  e'  tenuto  ad
investire la Corte stessa della relativa  questione  di  legittimita'
costituzionale» (Corte costituzionale, 7 dicembre 2017, n. 258) e che
«l'obbligo  di  addivenire  ad   un'interpretazione   conforme   alla
Costituzione   cede   il   passo   all'incidente   di    legittimita'
costituzionale ogni qual volta essa sia incompatibile con il disposto
letterale della disposizione e  si  riveli  del  tutto  eccentrica  e
bizzarra, anche alla luce del contesto normativo ove la  disposizione
si colloca... L'interpretazione secondo Costituzione e'  doverosa  ed
ha un'indubbia priorita' su ogni altra ..., ma appartiene pur  sempre
alla famiglia delle tecniche esegetiche,  poste  a  disposizione  del
giudice nell'esercizio  della  funzione  giurisdizionale,  che  hanno
carattere dichiarativo. Ove, percio', sulla base  di  tali  tecniche,
non sia possibile trarre dalla  disposizione  alcuna  norma  conforme
alla Costituzione, il dubbio di costituzionalita' non  potra'  essere
risolto in via ermeneutica» (Corte costituzionale, 13 aprile 2017, n.
83 che richiama la sentenza della Corte  costituzionale  19  febbraio
2016, n. 3636). 
    Ebbene,  l'art.  84  e'  chiaro  nel  definire  la  comunicazione
antimafia come l'attestazione della sussistenza o meno di  una  delle
cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'art. 67  e
l'art. 67, comma 8, a sua volta,  e'  chiaro  nel  prevedere  che  le
persone  condannate  con  sentenza  definitiva   o,   ancorche'   non
definitiva, confermata in grado di appello, per uno  dei  delitti  di
cui all'art. 51, comma 3-bis del  codice  di  procedura  penale  -  e
quindi anche per il reato di «Attivita' organizzate per  il  traffico
illecito di rifiuti» ex art. 452-quaterdecies del codice penale,  non
possano ottenere i provvedimenti ivi indicati. 
    Il chiaro dato testuale delle norme sopra richiamate non consente
di ritenere che sussistano dei margini di  discrezionalita'  in  capo
all'Amministrazione  nel  decidere,  in  presenza  delle  fattispecie
richiamate  dall'art.  67,  se  adottare  o  meno  la   comunicazione
antimafia. 
    Le circostanze alle quali rinvia l'art. 84, secondo  comma,  sono
puntualmente indicate nell'art. 67 e, per quanto interessa in questa,
il  comma  8  e'  chiaro  nel  prevedere  come  unico  e  sufficiente
presupposto  per  determinare   l'obbligo   dell'Amministrazione   di
adottare una comunicazione antimafia, tra gli altri, la condanna  con
sentenza definitiva o, ancorche' non definitiva, confermata in  grado
di appello, per uno dei delitti di cui all'art. 51, comma  3-bis  del
codice di  procedura  penale  -  e  quindi  anche  per  il  reato  di
«Attivita' organizzate per il traffico illecito di rifiuti»  ex  art.
452-quaterdecies del codice penale. 
    Cio'  posto,  paiono  invece  al   collegio   rilevanti   e   non
manifestamente  infondati  i  dubbi  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 67, comma 8 del decreto legislativo n. 159 del  2011,  come
richiamato dal secondo  comma  dell'art.  84,  nella  parte  in  cui,
rinviando all'art. 51, comma 3-bis del codice  penale,  si  riferisce
anche al reato di cui all'art. 452-quaterdecies  del  codice  penale,
anche nella sua forma non associativa,  con  particolare  riferimento
agli articoli 3, 25, 27, 38 e 41 della Costituzione, prospettati  sia
dalla ricorrente, sia dal Consiglio di Stato  nell'ordinanza  n.  ...
del ... sopra richiamata. 
      
    Quanto alla rilevanza della questione ai fini del decidere,  dopo
aver escluso la possibilita' di un'interpretazione costituzionalmente
orientata dell'art. 67, comma 8 del decreto legislativo  n.  159  del
2011,  essa  e'  indubbia,  posto  che,  nel  caso   in   esame,   la
«comunicazione antimafia» oggetto di  impugnazione  risulta  motivata
esclusivamente dalla condanna, confermata dalla Corte di  appello  di
Cagliari, seconda sezione penale, con la sentenza n. ... del ..., dei
signori M M, P M e A M, per il delitto di attivita'  organizzate  per
il traffico illecito di rifiuti di cui agli articoli 110  del  codice
penale, 260, comma 1 del decreto legislativo 3 aprile 2020,  n.  152,
oggi previsto dall'art. 452-quaterdecies del codice  penale,  delitto
previsto all'art. 51, comma 3-bis del codice di procedura  penale,  e
dunque rientrante tra «i delitti spia» richiamati  appunto  dall'art.
67, comma 8 del decreto  legislativo  n.  159  del  2011  (sul  punto
Consiglio di Stato, sezione III, 27 dicembre 2019, n. 8883; Consiglio
di Stato, sezione III, 2 maggio 2019, n. 2855;  Consiglio  di  Stato,
sezione III, 18 giugno 2019, n. 4125;  Consiglio  di  Stato,  sezione
III, 8 marzo 2017, n. 1108). 
    E'   pacifica   pertanto   la   necessaria   applicazione   della
disposizione sospettata di incostituzionalita' (art. 67, comma 8  del
decreto legislativo n. 159 del  2011,  come  richiamato  dal  secondo
comma dell'art. 84, nella parte in cui, rinviando all'art. 51,  comma
3-bis del codice penale, si riferisce anche al reato di cui  all'art.
452-quaterdecies  del  codice  penale,  anche  nella  sua  forma  non
associativa) nel giudizio pendente innanzi a questo  Tribunale  (art.
23 della legge n. 87 del 1953). 
    Per quanto riguarda l'influenza che la pronuncia e' in  grado  di
esercitare sul giudizio in corso,  il  Collegio  evidenzia  che  allo
stato degli atti, il ricorso dovrebbe essere rigettato in  ordine  al
dato che il reato di cui all'art. 452-quaterdecies del codice  penale
viene annoverato, mediante il rinvio all'art. 51, comma 3-bis  codice
di procedura penale, tra i  reati  la  cui  condanna  (ancorche'  non
definitiva, ma confermata in grado di appello) comporta l' automatica
emanazione della comunicazione antimafia. 
    Laddove  la  Corte  costituzionale  accogliesse  invece  la   qui
prospettata questione  di  legittimita'  costituzionale  il  presente
giudizio avrebbe un esito diverso alla  luce  della  possibilita'  di
sottrarre il reato in esame all'effetto  automatico  scaturito  dalla
condanna, e proprio della comunicazione antimafia. 
    Quanto alla non manifesta infondatezza si osserva quanto segue. 
    Il sistema della documentazione antimafia, previsto  dal  decreto
legislativo n. 159 del 2 settembre 2011, si fonda  sulla  distinzione
tra le comunicazioni antimafia e le informazioni antimafia  (art.  84
del decreto legislativo n. 159 del 2011). 
    La  documentazione  antimafia,  nelle  due  diverse  forme  della
comunicazione e dell'informazione, assolve una funzione  cautelare  e
preventiva volta ad assicurare una difesa anticipata della  legalita'
ed una risposta efficace dello Stato nel contrasto alla  criminalita'
organizzata. 
    Tale funzione, nella «comunicazione antimafia»,  viene  adempiuta
mediante  l'emissione  da  parte  dell'Autorita'  prefettizia  di  un
provvedimento  di  natura  vincolata  consistente  «nell'attestazione
della sussistenza  o  meno  di  una  delle  cause  di  decadenza,  di
sospensione o di divieto  di  cui  all'art.  67»  con  riferimento  a
determinati  soggetti,   individuati   dall'art.   85   del   decreto
legislativo n. 159 del  2011.  Ai  sensi  dell'art.  67  del  decreto
legislativo n.  159  del  2011,  le  persone  alle  quali  sia  stata
applicata  con  provvedimento  definitivo   una   delle   misure   di
prevenzione di cui all'art. 5 del decreto legislativo 159 del 2011  e
le persone destinatarie di una condanna con  sentenza  definitiva  o,
ancorche' non definitiva, confermata in grado di appello, per uno dei
delitti di cui all'art. 51, comma  3-bis,  del  codice  di  procedura
penale nonche' per i reati di cui all'art. 640, secondo comma, n. 1),
del codice penale, commesso a danno dello Stato o di  un  altro  ente
pubblico, e all'art. 640-bis del codice penale, non possono ottenere: 
        a) licenze o autorizzazioni di polizia e di commercio; 
        b) concessioni di acque pubbliche e diritti ad esse  inerenti
nonche' concessioni di beni demaniali allorche' siano  richieste  per
l'esercizio di attivita' imprenditoriali; 
        c) concessioni di costruzione e gestione di opere riguardanti
la pubblica amministrazione e concessioni di servizi pubblici; 
        d) iscrizioni negli elenchi di appaltatori o di fornitori  di
opere, beni e servizi riguardanti la  pubblica  amministrazione,  nei
registri della Camera di  commercio  per  l'esercizio  del  commercio
all'ingrosso e  nei  registri  di  commissionari  astatori  presso  i
mercati annonari all'ingrosso; 
        e)  attestazioni  di  qualificazione  per   eseguire   lavori
pubblici; 
        f)   altre   iscrizioni   o   provvedimenti    a    contenuto
autorizzatorio, concessorio, o  abilitativo  per  lo  svolgimento  di
attivita' imprenditoriali, comunque denominati; 
        g) contributi,  finanziamenti  o  mutui  agevolati  ed  altre
erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati
da parte dello Stato,  di  altri  enti  pubblici  o  delle  Comunita'
europee, per lo svolgimento di attivita' imprenditoriali; 
        h) licenze per  detenzione  e  porto  d'armi,  fabbricazione,
deposito, vendita e trasporto di materie esplodenti. 
    L'informazione  antimafia  (art.  84,   comma   3   del   decreto
legislativo n. 159 del 2011) attesta, oltre a  quanto  gia'  previsto
per la comunicazione antimafia (sussistenza o  meno  delle  cause  di
decadenza, sospensione o divieto  di  cui  all'art.  67  del  decreto
legislativo n. 159 del 2011) anche la sussistenza o meno di eventuali
tentativi d'infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e
gli indirizzi delle societa' o imprese interessate. 
    Le informazioni antimafia si distinguono per uno spiccato momento
di autonomia valutativa da  parte  del  Prefetto,  nel  soppesare  il
rischio  di  permeabilita'   mafiosa   dell'impresa,   di   contenuto
discrezionale che puo' prescindere dagli esiti delle indagini  penali
o dello stesso giudizio penale, che  tuttavia  la  Prefettura  ha  il
dovere di tenere in considerazione in  presenza  dei  cc.dd.  delitti
spia (art. 84, comma 4 del decreto legislativo n. 159 del 2011). 
    Come gia' evidenziato, l'automatico effetto interdittivo  che  la
comunicazione  antimafia  determina,  postula   nei   confronti   dei
destinatari  della  comunicazione  antimafia,  l'applicazione   delle
misure di prevenzione previste dal libro I, titolo I, capo  II  o  la
pronuncia di una sentenza di  condanna  definitiva  o  confermata  in
appello per taluno dei delitti consumati o tentati elencati  all'art.
51, comma 3-bis del codice di procedura penale, nonche' per  i  reati
di cui all'art. 640, secondo comma, n. 1, del codice penale, commesso
a danno dello Stato o di un altro ente pubblico, e dell'art.  640-bis
del codice penale 
    L'automatismo previsto dalle norme in esame, come gia'  chiarito,
formulato  in   modo   tale   da   non   permettere   alla   Pubblica
amministrazione di tenere conto delle peculiarita' del caso  concreto
in tutti quei casi in cui si realizzino le fattispecie ivi  previste,
tra le quali, appunto, la  condanna  (ancorche'  non  definitiva,  ma
confermata in  grado  di  appello)  per  il  reato  di  cui  all'art.
452-quaterdecies del codice penale. 
    Occorre pertanto soffermarsi sulla natura di questo reato. 
    Il reato di attivita' organizzate per  il  traffico  illecito  di
rifiuti di cui all'art. 452-quaterdecies  del codice  penale  punisce
«chiunque, al fine di  conseguire  un  ingiusto  profitto,  con  piu'
operazioni  e  attraverso  l'allestimento  di   mezzi   e   attivita'
continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa o
comunque gestisce abusivamente ingenti quantita' di rifiuti». 
    L'art. 452-quaterdecies del codice penale e' stato  inserito  nel
titolo dedicato ai delitti contro l'ambiente dall'art. 3, del decreto
1° marzo 2018, n. 21, in attuazione della delega  contenuta  all'art.
1, 85° comma, lettera q), della legge 23 giugno 2017,  n.  103  sulla
riserva tendenziale di codice nella materia penale. 
    Il reato era tuttavia gia' previsto  all'art.  260,  del  decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152; norma abrogata dall'art. 7,  comma
1, lettera q), del decreto legislativo 1° marzo 2018, n. 21. A  norma
di quanto disposto dall'art. 8, comma 1, del decreto suddetto, dal  6
aprile 2018, i richiami alle disposizioni dell'art. 260, comma 1  del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ovunque presenti,  debbono
intendersi riferiti all'art. 452-quaterdecies del codice penale. 
    Prima ancora,  tale  reato  era  previsto  dall'art.  53-bis  del
decreto legislativo n. 22 del 1997. L'introduzione di questo  delitto
e' infatti avvenuta ad opera dell'art. 22 della legge 23 marzo  2001,
n. 93. 
    La  Cassazione  ha  evidenziato  che   la   condotta   sanzionata
(ovviamente non occasionale, stante la natura abituale del reato)  da
tale norma, richiede una preparazione e un allestimento di specifiche
risorse, anche del tutto rudimentale  e  che  queste  ultime  possono
configurarsi anche in presenza di una struttura organizzativa di tipo
imprenditoriale,  idonea  ed  adeguata   a   realizzare   l'obiettivo
criminoso preso di mira, anche quando essa non sia destinata, in  via
esclusiva, alla commissione di attivita' illecite, con la conseguenza
che il reato e' configurabile anche quando l'attivita' criminosa  sia
marginale o secondaria rispetto all'attivita' principale  lecitamente
svolta (Cassazione, sezione III, 28 ottobre 2019, n. 43710). 
    Posto che l'art.  452-quaterdecies  fa  espresso  riferimento  ad
«attivita' organizzate», si tratta di capire se siamo di fronte ad un
reato necessariamente plurisoggettivo, ovvero se siamo di  fronte  ad
un reato monosoggettivo. 
    Sul punto, la giurisprudenza della Cassazione  ha  chiarito  che,
per  la  configurabilita' di  tale  reato,  non  e'   richiesta   una
pluralita'   di   soggetti   agenti,   trattandosi   di   fattispecie
monosoggettiva, mentre e' richiesta una pluralita' di  operazioni  in
continuita' temporale relative ad una o piu' delle  diverse  fasi  in
cui si concretizza ordinariamente la gestione  dei  rifiuti  (tra  le
tante, Cassazione penale, sezione III, 23 luglio 2008, n. 30847). 
    Tale fattispecie, inoltre,  non  presuppone  necessariamente  una
struttura associativa. Sul  punto,  la  Cassazione,  analizzando  nel
dettaglio l'art. 51, comma 3-bis del codice di procedura  penale,  ha
precisato che non poche delle figure  criminose  richiamate  da  tale
norma, comunque implicanti un rilevante tasso di allarme sociale e in
generale  tali  da  presupporre  una  struttura  organizzativa   alla
rispettiva base, struttura organizzativa  che  giustifica  per  tutte
quelle fattispecie la deroga ai criteri  ordinari  di  riparto  della
competenza, senza percepibile vulnus dell'art. 25 della Costituzione,
non  riguardano  direttamente  reati  aventi  carattere  associativo,
richiamando, oltre i reati di cui agli articoli 600, 601, 602  e  630
codice penale, proprio, il reato di  cui  all'art.  260  del  decreto
legislativo n. 152 del 2006 (oggi art.  452-quaterdecies  del  codice
penale) (Cassazione penale, sezione I, 12 aprile 2019, n. 16123). 
    Con specifico riferimento alla possibilita' di  concorso  tra  il
reato di attivita' organizzata per il traffico illecito di rifiuti  e
l'art. 416 del codice penale, si osserva che, a differenza del primo,
la  sussistenza  del  delitto  di  associazione  per  delinquere   e'
indipendente dalla concreta  realizzazione  dei  reati-fine,  poiche'
l'art. 416 del codice penale sanziona la mera associazione di  tre  o
piu' persone allo scopo di commettere piu' delitti, senza subordinare
la condanna all'effettiva commissione dei singoli reati fine, la  cui
effettiva  realizzazione  non  resta  conseguentemente  assorbita  da
quella concernente il reato associativo. 
    Inoltre, i due reati sono volti a tutelare beni diversi, il reato
di cui all'art. 416 del codice penale l'ordine pubblico, il reato  di
cui  all'art.  452-quaterdecies  del  codice  penale,   l'incolumita'
pubblica, nella sua dimensione di protezione ambientale. 
    Il reato di cui all'art. 416 del codice penale e quello  previsto
dal  decreto  legislativo  n.  152  del 2006,  art.  260  (oggi  art.
452-quaterdecies del codice penale), pertanto, possono concorrere. 
    In merito, infatti, la Cassazione ha precisato che «ai  fini  del
concorso tra i due reati, e' necessaria la sussistenza degli elementi
costitutivi  di  entrambi,  cosicche'  la   sussistenza   del   reato
associativo non  puo'  ricavarsi  dalla  mera  sovrapposizione  della
condotta descritta nel decreto legislativo n. 152 del 2006, art.  260
con quella richiesta per la  configurabilita'  dell'associazione  per
delinquere, richiedendo  tale  ultimo  reato  la  predisposizione  di
un'organizzazione strutturale, sia pure minima, di  uomini  e  mezzi,
funzionale alla realizzazione di una serie indeterminata di  delitti,
nella consapevolezza, da parte di singoli associati, di far parte  di
un sodalizio durevole e di essere disponibili ad  operare  nel  tempo
per l'attuazione del programma criminoso comune, che non  puo'  certo
essere  individuata  nel  mero  allestimento  di  mezzi  e  attivita'
continuative  organizzate  e  nel  compimento  di   piu'   operazioni
finalizzate alla gestione abusiva di  rifiuti  indicate  dal  decreto
legislativo n. 152 del 2006, art. 260  richiedendosi,  evidentemente,
un'attivita' e stabile partecipazione ad un sodalizio  criminale  per
la realizzazione di un indeterminato programma criminoso» (Cassazione
penale, sezione III, 17 gennaio 2014, n. 5773). 
    Le esigenze di tutela e salvaguardia dell'ambiente hanno  portato
la giurisprudenza della Corte di  cassazione  (ex  multis  Cassazione
penale, sezione III, 28 febbraio 2019, n. 16056) ad  una  costruzione
ermeneutica estensiva dei requisiti  costitutivi  della  fattispecie,
dilatando, in tal modo, l'ambito punitivo della stessa. 
    Piu' nello  specifico,  il  concetto  di  «traffico  illecito  di
rifiuti»  e'  stato  dilatato  al  punto  di  farvi  rientrare  anche
fattispecie che pur essendo gravi sotto il profilo ambientale,  nulla
hanno a che vedere con la criminalita' organizzata. 
    Per contro,  occorre  rilevare  che  la  condanna  per  il  reato
ambientale di che trattasi, quale presupposto per l'adozione di altre
misure,  come  nell'ipotesi  dell'art.  67,  comma  8,   del   codice
antimafia, vieppiu' nella configurazione  estensiva  costruita  dalla
giurisprudenza, produce l'effetto di ampliare i  confini  applicativi
della normativa antimafia senza garantire un effettivo  riscontro  in
merito alla sussistenza dei  requisiti  giustificativi  della  misura
stessa. 
    Si evidenzia, infatti, che le misure di prevenzione  antimafia  a
carattere interdittivo hanno funzione  preventiva  e  non  afflittiva
(Consiglio di Stato, sezione III, ord. 18  ottobre  2019,  n.  5291),
ricollegata  all'interesse  pubblico  primario  del  contrasto   alle
organizzazioni mafiose. 
    Ora, sebbene l'interesse che  da  anni  muove  le  organizzazioni
criminali di tipo mafioso nel settore dei rifiuti rappresenti  oramai
un fatto notorio, tanto che e' stato coniato un termine  ad  hoc  per
definirle, "ecomafie" (in termini, Consiglio di Stato,  sezione  III,
30 giugno 2020 n. 4168), cio' non implica necessariamente che tutti i
soggetti condannati  per  traffico  illecito  di  rifiuti  -  che  si
ribadisce costituisce un reato mono soggettivo - siano ipso  facto  a
rischio di collusione con ambienti della criminalita' organizzata. 
    Il  T.A.R.  Lazio,  con  riferimento  al  diverso   provvedimento
dell'interdittiva antimafia, ha precisato che «Detta  valutazione,  o
se vogliamo, detta presunzione,  non  puo'  essere  assoluta,  tenuto
conto degli effetti dirompenti prodotti  dall'interdittiva,  ma  deve
essere relativa, dovendo il Prefetto verificare comunque -  prima  di
adottare il provvedimento - l'esistenza della  concreta  possibilita'
di interferenze mafiose... Se cosi' non fosse... verrebbe violato  il
principio di proporzionalita', in quanto  per  un  pericolo  presunto
basato su una fattispecie normativa,  si  lederebbe  la  liberta'  di
impresa, con ricadute anche a livello occupazionale. Verrebbe meno il
prudente bilanciamento tra gli interessi alla liberta' di  iniziativa
di impresa e la concorrente tutela delle condizioni di sicurezza e di
ordine pubblico perseguite dalle norme di  prevenzione»  (in  termine
T.A.R. Lazio-Roma, sezione I ter, 15 luglio 2014, n. 7571). 
    Sempre in tema di interdittiva antimafia, il Consiglio di  Stato,
in un caso nel quale il reato coinvolto nella controversia era sempre
l'attivita' organizzata per  il  traffico  illecito  di  rifiuti,  ha
evidenziato che «L'annullamento di qualsivoglia discrezionalita'  nel
senso appena precisato in questa materia,  che  postula  la  tesi  in
parola (sostenuta, invero, da autorevoli studiosi del diritto  penale
e amministrativo), prova  troppo,  del  resto,  perche'  l'ancoraggio
dell'informazione antimafia a soli elementi tipici,  prefigurati  dal
legislatore, ne farebbe  un  provvedimento  vincolato,  fondato,  sul
versante opposto, su inammissibili automatismi o presunzioni ex  lege
e, come tale, non solo inadeguato rispetto  alla  specificita'  della
singola vicenda, proprio in una  materia  dove  massima  deve  essere
l'efficacia adeguatrice di una norma elastica al  caso  concreto,  ma
deresponsabilizzante  per   la   stessa   autorita'   amministrativa.
Quest'ultima  invece,  anzitutto  in   ossequio   dei   principi   di
imparzialita'  e  buon  andamento  contemplati  dall'art.  97   della
Costituzione e nel nome di  un  principio  di  legalita'  sostanziale
declinato in senso forte, e' chiamata,  esternando  compiutamente  le
ragioni della propria valutazione nel provvedimento amministrativo, a
verificare che gli elementi fattuali, anche  quando  "tipizzati"  dal
legislatore,  non  vengano  assunti  acriticamente  a  sostegno   del
provvedimento  interdittivo,  ma  siano  dotati  di   individualita',
concretezza ed attualita', per fondare secondo un corretto canone  di
inferenza logica la prognosi di permeabilita' mafiosa, in base ad una
struttura bifasica  (diagnosi  dei  fatti  rilevanti  e  prognosi  di
permeabilita' criminale) non dissimile, in fondo, da  quella  che  il
giudice penale compie per valutare gli elementi  posti  a  fondamento
delle misure di sicurezza personali, lungi da qualsiasi inammissibile
automatismo presuntivo, come la Suprema Corte di recente ha  chiarito
(v., sul punto, Cassazione, sezione Un., 4 gennaio  2018,  n.  111).»
(Consiglio di Stato, sezione III, 27 dicembre 2019, n. 8883). 
    Il Collegio non sottovaluta il fatto che tali considerazioni sono
state espresse dalla  giurisprudenza  con  esclusivo  riferimento  al
diverso   provvedimento   dell'informazione   antimafia   che,   come
evidenziato, a differenza della comunicazione  antimafia,  ha  natura
discrezionale; tuttavia, non puo' essere trascurato  il  sempre  piu'
inteso accostamento  tra  i  due  istituti  giuridici,  dovuto  anche
all'introduzione dell'art. 89-bis del codice antimafia;  norma  sulla
quale si e' pronunciata la Corte costituzionale con  la  sentenza  18
gennaio  2018,  n.  4,  dichiarando  non  fondate  le  questioni   di
legittimita' costituzionale nei suoi confronti sollevate. 
    L'art. 89-bis del codice antimafia,  rubricato  «Accertamento  di
tentativi  di  infiltrazione  mafiosa  in  esito  alla  richiesta  di
comunicazione antimafia», recita «1. Quando in esito  alle  verifiche
di cui all'art. 88,  comma  2,  venga  accertata  la  sussistenza  di
tentativi di  infiltrazione  mafiosa,  il  prefetto  adotta  comunque
un'informazione antimafia interdittiva  e  ne  da'  comunicazione  ai
soggetti richiedenti di cui all'art. 83, commi 1 e 2, senza  emettere
la comunicazione antimafia. 2. L'informazione antimafia  adottata  ai
sensi  del  comma  1  tiene  luogo  della   comunicazione   antimafia
richiesta». 
    La norma rileva poiche', oggi, la Prefettura, ai sensi  dell'art.
89-bis del decreto legislativo  n.  159  del  2011,  in  presenza  di
elementi  indiziari,  gravi,  precisi  e  concordanti,  che   lascino
ritenere il pericolo di infiltrazione mafiosa per la presenza,  nella
compagine sociale, o per il  controllo  e  la  direzione,  esercitati
anche di fatto, di soggetti condannati per eventuali delitti-spia  di
cui al combinato disposto dell'art. 84,  comma  4,  lettera  a),  del
decreto legislativo n. 159 del 2011  e  dell'art.  51,  comma  3-bis,
codice di procedura penale, tra i quali rientra anche delitto di  cui
all'art. 452-quaterdecies  del  codice  penale,  potrebbe  rilasciare
un'informazione antimafia in luogo di una comunicazione antimafia (in
termini, Consiglio di Stato, sezione III, 18 giugno 2019, n. 4125). 
    Infatti, l'art. 84, comma 4, lettera a) del  decreto  legislativo
n. 159 del 2011 prevede che «Le situazioni relative ai  tentativi  di
infiltrazione mafiosa che danno luogo all'adozione  dell'informazione
antimafia interdittiva di  cui  al  comma  3  sono  desunte:  a)  dai
provvedimenti che dispongono una  misura  cautelare  o  il  giudizio,
ovvero che recano una condanna anche non definitiva  per  taluni  dei
delitti di cui agli articoli 353,  353-bis,  603-bis,  629,  640-bis,
644, 648-bis, 648-ter del codice penale, dei delitti di cui  all'art.
51, comma 3-bis, del codice di procedura penale  e  di  cui  all'art.
12-quinquies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 convertito,  con
modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356» e l'art. 91,  comma
6 precisa che «Il prefetto puo', altresi', desumere il  tentativo  di
infiltrazione  mafiosa  da  provvedimenti  di  condanna   anche   non
definitiva per reati strumentali all'attivita'  delle  organizzazioni
criminali  unitamente  a  concreti  elementi  da  cui   risulti   che
l'attivita' d'impresa possa, anche in modo  indiretto,  agevolare  le
attivita' criminose o esserne in qualche modo condizionata...». 
      
      
    Ebbene, in questo caso, l'esistenza di  una  condanna  anche  non
definitiva per il reato di  attivita'  organizzata  per  il  traffico
illecito di rifiuti, nonostante il procedimento amministrativo  fosse
stato avviato per ottenere una comunicazione  antimafia,  si  risolve
nel rilascio di un'interdittiva antimafia  con  connessa  valutazione
discrezionale della condanna di che trattasi alla stregua di un  mero
indice di collusione con ambienti della criminalita' organizzata. 
    Il Consiglio di Stato, nel parere n. 3088 del 17  novembre  2015,
avente ad oggetto  un  quesito  proprio  sull'applicazione  dell'art.
89-bis del decreto legislativo 6 settembre 2011,  n.  159,  evidenzia
che il rapporto tra la comunicazione e l'informazione antimafia, come
delineato  dall'art.  84  del  decreto  legislativo  n. 159/2011,  e'
d'alternativita',  nel  senso  che  la  comunicazione  antimafia  non
dev'essere acquisita quando e' necessaria l'informazione antimafia  e
viceversa, ma che nondimeno l'informazione antimafia e' astrattamente
in grado d'assorbire la comunicazione antimafia, attestando, oltre  a
quanto  gia'  previsto  per  la  comunicazione  antimafia,  anche  la
sussistenza o meno di  eventuali  tentativi  d'infiltrazione  mafiosa
tendenti a condizionare le  scelte  e  gli  indirizzi  delle  imprese
interessate. 
    Il Consiglio di Stato chiarisce tuttavia che  l'art.  89-bis  del
codice   antimafia   «costituisce    una    deroga    al    principio
d'alternativita', poiche' prevede l'informazione antimafia laddove e'
richiesta  la  comunicazione  antimafia,  e  al  tempo  stesso  opera
l'assorbimento:   l'enunciato   normativo   equipara   l'informazione
antimafia alla comunicazione antimafia.  Le  perplessita'  di  ordine
sistematico e teleologico sollevate  in  ordine  all'applicazione  di
tale disposizione anche alle ipotesi in cui non vi  sia  un  rapporto
contrattuale  -   appalti   o   concessioni   -   con   la   pubblica
amministrazione non hanno ragion d'essere, posto che anche in ipotesi
di attivita' private soggette a mera  autorizzazione  l'esistenza  di
infiltrazioni  mafiose   inquina   l'economia   legale,   altera   il
funzionamento  della  concorrenza  e  costituisce  una  minaccia  per
l'ordine e la sicurezza pubbliche. Ne' l'interprete puo'  sostituirsi
al legislatore - la cui volonta' e' stata plasticamente enunciata nel
testo - nell'effettuare il bilanciamento  tra  interessi  pubblici  e
diritto   di   iniziativa   economica   privata»,   concludendo   con
l'evidenziare che «l'art. 89-bis del decreto legislativo 6  settembre
2011, n. 1591 s'interpreta nel  senso  che  l'informazione  antimafia
produce i medesimi effetti della comunicazione antimafia anche  nelle
ipotesi in cui  manchi  un  rapporto  contrattuale  con  la  pubblica
amministrazione». 
    Alla luce  di  tutto  quanto  sopra  esposto,  il  Collegio,  pur
condividendo  la  necessita'  in  tale  settore   di   una   risposta
sanzionatoria estensiva, ritiene che l'art. 67, comma 8,  del  codice
antimafia, come richiamato dal  secondo  comma  dell'art.  84,  nella
parte in cui, rinviando all'art. 51, comma 3-bis del  codice  penale,
si riferisce anche al reato  di  cui  all'art.  452-quaterdecies  del
codice penale, anche nella  sua  forma  non  associativa,  necessiti,
tuttavia,   di   una   revisione   sul   piano   della    conformita'
costituzionale,   atteso   che   la   legittimita'   dell'automatismo
interdittivo della comunicazione antimafia si ritiene essere  fondata
sulla  necessaria  condanna  per  reati  che  presentino  lo  stretto
collegamento con l'attivita' della criminalita' organizzata di stampo
mafioso. 
      
      
      
    Pertanto si ritiene non conforme alla ratio legis della normativa
antimafia il meccanismo  in  base  al  quale,  in  caso  di  condanna
definitiva o confermata in appello, per  il  reato  di  cui  all'art.
452-quaterdecies  del  codice  penale,  consegue  automaticamente  un
provvedimento interdittivo, ritenendo, invero,  necessaria  per  tale
fattispecie, un'ulteriore valutazione in concreto, non prevista dalla
norma, in  merito  alla  sussistenza  dei  requisiti  riguardanti  la
connessione  con  il  fenomeno  associativo  criminale  (non  essendo
elementi costituitivi del reato di cui all'art. 452-quaterdecies  del
codice penale il carattere associativo e lo stretto collegamento  con
l'attivita' della criminalita' organizzata di stampo mafioso). 
    La pronuncia della Corte di appello  di  Cagliari,  nel  caso  di
specie,   ha   escluso   espressamente   il   carattere   associativo
dell'attivita'  posta  in  essere  dalla  ricorrente  e   l'eventuale
collegamento con la criminalita' organizzata. 
    Invero, nella sentenza si legge: «va escluso che nella vicenda in
esame possa ritenersi configurata la  fattispecie  ex  art.  416  del
codice penale, poiche'  in  atti  vi  e'  la  prova  che  l'attivita'
continuativa di traffico illecito di rifiuti e tentata diffusione  di
una malattia degli animali con connesse ipotesi di false  indicazioni
relative ai S.O.A., e' stata certamente oggetto di un ben  congegnato
sistema criminoso, non occasionale  o  contingente;  manca  pero'  la
prova che quell'accordo facesse parte di un piu'  generale  programma
permanente ed indeterminato  di  azioni  illecite  pur  del  medesimo
genere,  da  perdurare  anche  dopo  il  perseguimento  dell'unico  e
determinato obiettivo accertato.  Nell'ipotesi  di  plurime  condotte
illecite coinvolgenti piu' persone, non potra' essere  contestata  la
fattispecie di  associazione  per  delinquere  ove  l'accordo  tra  i
sodali, pur certo e ben congegnato, sia finalizzato a  realizzare  un
puntuale scopo criminoso e  non  anche  a  dar  vita  a  uno  stabile
sodalizio perdurante anche dopo l'esaurimento della  serie  di  reati
programmata ex ante». 
    Occorre  pertanto   vagliare   la   legittimita'   costituzionale
dell'art. 67, comma 8, come richiamato dal  secondo  comma  dell'art.
84, nella parte in cui, rinviando all'art. 51, comma 3-bis del codice
penale, si riferisce anche al reato di cui all'art.  452-quaterdecies
del codice penale, anche nella sua forma  non  associativa,  e  degli
effetti che ne scaturiscono alla luce dei principi di  ragionevolezza
e di proporzionalita', che, in  quanto  corollari  del  principio  di
uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione,  impongono  che  le
disposizioni normative contenute in atti aventi valore di legge siano
adeguate o congruenti rispetto al fine  perseguito  dal  legislatore,
con la conseguenza che  sussiste  la  violazione  di  tale  principio
laddove  si  riscontri  una   contraddizione   all'interno   di   una
disposizione legislativa, oppure tra essa ed  il  pubblico  interesse
perseguito che costituisce un  limite  al  potere  discrezionale  del
legislatore, impedendone un esercizio arbitrario. 
    Il Collegio non ignora che nella materia della prevenzione  della
criminalita' organizzata, il legislatore  ordinario  e'  titolare  di
un'ampia  discrezionalita'  valutativa  nella  scelta  delle   misure
ritenute idonee allo scopo, ancorche' esse  incidano  sulle  liberta'
economiche e si fondino su accertamenti  semplificati,  e  che  detta
discrezionalita' puo' legittimamente manifestarsi anche attraverso la
previsione  di   effetti   interdittivi   automatici   collegati   al
verificarsi  di  determinate   circostanze   considerate   pienamente
indicative del rischio di contaminazione mafiosa del tessuto  sociale
ed economico. 
    Tuttavia, come ha ben evidenziato il Consiglio  di  Stato,  anche
nella definizione di tali ipotesi resta fermo il necessario controllo
di  ragionevolezza   e   di   proporzionalita'   delle   disposizioni
legislative, ai sensi  dell'art.  3  della  Costituzione,  secondo  i
parametri sviluppati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale,
nonche' l'esigenza di rispettare i criteri imposti della CEDU e dalla
Carta di Nizza in materia di  tutela  dei  diritti  fondamentali  (in
termini, Consiglio di Stato, ord., sezione III, 18 ottobre  2019,  n.
5291). 
    Alla luce di tutto quanto sopra evidenziato, emerge, a parere  di
questo Collegio, la non manifesta  infondatezza  della  questione  di
legittimita' costituzionale qui prospettata con riferimento  all'art.
3  della  Costituzione  e,  segnatamente  in  merito  ai  profili  di
irragionevolezza dell'automatismo di cui alla comunicazione antimafia
nel caso di condanna per il reato di  cui  all'art.  452-quaterdecies
del codice penale, di sproporzionalita' degli effetti  dello  stesso,
nonche' di previsione di  trattamenti  differenziati  per  situazioni
uguali. 
    Piu' nello specifico, e', allo stato,  dubbia  la  ragionevolezza
della norma di cui all'art. 67, comma 8, come richiamata dal  secondo
comma dell'art. 84, nella parte in cui, rinviando all'art. 51,  comma
3-bis del codice penale, si riferisce anche al reato di cui  all'art.
452-quaterdecies  del  codice  penale,  anche  nella  sua  forma  non
associativa, nella misura in  cui  essa  parifica  -  ai  fini  della
determinazione degli automatici effetti  di  cui  alla  comunicazione
antimafia - alla situazione della definitiva adozione di  una  misura
di prevenzione tipica, adottata all'esito dei procedimenti di cui  al
libro primo,  titolo  I,  capo  II,  del  codice  antimafia,  e  alla
situazione della condanna di gravissimi reati (espressione quindi  di
un'attivita' criminale organizzata) la diversa ipotesi della condanna
per il reato di cui all'art. 452-quaterdecies del codice  penale,  il
quale non  ha  struttura  associativa  e,  nella  sua  configurazione
normativa,  non  e'  necessariamente  correlato  ad  attivita'  della
criminalita'  organizzata  (come,  del  resto,  risulta  in  concreto
accertato dalla sentenza di condanna subita dalla ricorrente). 
      
      
      
    Il dubbio sulla ragionevolezza di tale previsione deriva altresi'
dalla circostanza che la condanna anche non definitiva per  il  reato
di cui all'art. 452-quaterdecies del  codice  penale,  (insieme  alle
ipotesi di condanna per altri titoli di reato, quali:  353,  353-bis,
603-bis, 629, 644, 648-bis, 648-ter del codice  penale,  degli  altri
delitti di cui all'art. 51, comma  3-bis,  del  codice  di  procedura
penale e di cui all'art.  12-quinquies  del  decreto-legge  8  giugno
1992, n. 306 convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  7  agosto
1992, n. 356), nello stesso codice antimafia, all'art. 84,  comma  4,
lettera a) e' opportunamente considerato  come  elemento  da  cui  e'
possibile inferire (senza, pero', alcun  automatismo  probatorio)  la
sussistenza di un rischio concreto di infiltrazione mafiosa  o  della
criminalita' organizzata, ai  fini  dell'adozione  di  un'informativa
interdittiva. 
    In tal senso, nel contesto dell'art.  84,  risulta  perfettamente
coerente  la  collocazione  dell'art.  452-quaterdecies  del   codice
penale, tra  i  «delitti-spia»  significativamente  indicativi  della
capacita'  di  penetrazione  nell'economia  legale  da  parte   della
criminalita' organizzata. 
    La mera precisazione che la condanna debba  essere  definitiva  o
confermata in appello, cosi' come previsto all'art. 67, comma 8,  non
puo' essere individuata quale criterio discriminante, tanto piu'  che
all'art. 84, comma 4 si fa genericamente riferimento ad una  condanna
anche non definitiva. 
    Pertanto,  il  previsto   effetto   automatico   della   condanna
definitiva o confermata in grado di  appello  per  il  reato  di  cui
all'art. 452-quaterdecies del codice penale, previsto  dall'art.  67,
comma   8   del   codice   antimafia,    risulta    irragionevolmente
sproporzionata rispetto alla finalita'  perseguita  dal  legislatore,
laddove, mediante il  rinvio  all'art.  51,  comma  3-bis  codice  di
procedura penale, ai fini dell'individuazione dei presupposti per  il
rilascio della comunicazione antimafia,  affianca  -  ai  fini  della
determinazione degli automatici effetti  di  cui  alla  comunicazione
medesima - alla situazione della definitiva adozione di una misura di
prevenzione tipica, adottata all'esito dei  procedimenti  di  cui  al
libro primo,  titolo  I,  capo  II,  del  codice  antimafia,  e  alla
situazione della condanna di gravissimi reati (espressione quindi  di
un'attivita' criminale organizzata) la diversa ipotesi della condanna
per il reato di «attivita' organizzate per il  traffico  illecito  di
rifiuti», anche nella sua forma non associativa. 
      
      
    L'art.  452-quaterdecies  del  codice  penale  rileva,  in   tale
contesto, nella misura in cui lo stesso si presenti in concreto nella
dimensione associativa e, in tale senso, si configuri come reato-fine
dell'art. 416 del codice penale, come peraltro previsto dall'art. 51,
comma 3-bis del codice di procedura penale, con riferimento ad  altri
reati, quali, ad esempio, i reati previsti dagli articoli 473  e  474
del codice penale. 
    Parimenti, il rischio potenziale di infiltrazione mafiosa, cui e'
esposto il contesto imprenditoriale in cui le  attivita'  organizzate
per il traffico  illecito  di  rifiuti  si  collocano,  non  vale  ad
integrare, di per se' solo, il requisito dell'effettivo  collegamento
con la criminalita' organizzata.  Essendo,  al  piu',  tale  contesto
utile ai fini della valutazione tecnico-discrezionale  dell'autorita'
prefettizia,  propria   del   diverso   e   complesso   provvedimento
dell'informativa  antimafia,  volta  a  ravvisare,  all'esito   della
lettura congiunta ed incrociata di molteplici  elementi  rilevati  in
concreto dagli organi di polizia, la sussistenza o meno di  eventuali
tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le  scelte
e gli indirizzi delle societa' o imprese interessate. 
    Orbene, a fronte di tutto quanto sopra esposto,  questo  Collegio
rileva  che,   alla   luce   dei   principi   di   ragionevolezza   e
proporzionalita', l'effetto automatico  proprio  della  comunicazione
antimafia nell'ipotesi di condanna  per  il  reato  di  cui  all'art.
452-quaterdecies  del  codice  penale,   nella   sua   variante   non
associativa  e  non  correlata  alla  criminalita'  organizzata,  non
risponde compiutamente alla tutela dell'interesse  pubblico  generale
sotteso all'istituto della  comunicazione  antimafia  comportando  il
rischio  di  un'indebita  lesione   di   diritti   costituzionalmente
garantiti, primi tra tutti la liberta' di iniziativa economica di cui
all'art.  41  della  Costituzione,  la  quale   verrebbe   fortemente
pregiudicata dai provvedimenti ostativi «a cascata» conseguenti  alla
comunicazione antimafia, nonche' sul sistema di sicurezza sociale  di
cui all'art. 38 della Costituzione,  atteso  che  la  funzione  della
comunicazione e' quella  di  inibire,  nei  rapporti  tra  i  privati
stessi, qualsivoglia attivita' soggetta ad  autorizzazione,  licenza,
concessione, abilitazione, iscrizione ad albi (art.  67  del  decreto
legislativo n. 159 del 2011), o anche alla  segnalazione  certificata
di inizio attivita' (c.d. s.c.i.a) e  alla  disciplina  del  silenzio
assenso (art. 89, comma 2,  lettera  a)  e  lettera  b)  del  decreto
legislativo n. 159 del 2011). 
    Occorre rilevare, altresi', come il collocamento  della  condanna
per il reato di cui  all'art.  452-quaterdecies  del  codice  penale,
nella sua forma non associativa, tra i presupposti richiesti ai  fini
del  rilascio  della  comunicazione  interdittiva  determinerebbe  un
irragionevole aggravio del trattamento  sanzionatorio  in  violazione
dell'art. 25 e 27 della Costituzione, peraltro, non  giustificato  da
un'adeguata  motivazione  da  parte  dell'Autorita'  prefettizia,  in
ragione del suddetto automatismo della comunicazione. 
    Da  ultimo,  si  ritiene  opportuno  richiamare  sul   punto   le
considerazioni esposte dal T.A.R. per il Friuli  Venezia  Giulia  con
l'ordinanza n. 160 del 26 maggio 2019 con riguardo al  diverso  reato
di «truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche» di
cui all'art. 640-bis del codice penale inserito  nell'ultimo  periodo
dell'art. 67,  comma  8,  dall'art.  24,  comma  1,  lettera  d)  del
decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113,  convertito  con  modificazioni
dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132: «il dubbio di costituzionalita'
riguarda una norma la  quale  fa  derivare  un  effetto  interdittivo
automatico a carico di soggetti che  sono  stati  condannati  per  un
reato  che  non  e'  riconducibile  tout  court   alla   criminalita'
organizzata di tipo mafioso e che  puo',  al  piu',  costituire  mera
circostanza  da  cui  desumere,  nello  specifico  caso  concreto   e
attraverso  una  compiuta  e   diffusa   valutazione   di   carattere
necessariamente discrezionale, elementi sintomatici di contiguita' al
fenomeno  mafioso  della  specifica  condotta  posta  in  essere.  La
disposizione,  laddove  fa  derivare  automatici  effetti   ostativi,
appare, quindi, eccedere lo scopo che si propone  che  e'  quello  di
contrastare, mediante apposite misure  di  carattere  preventivo,  il
dilagare dell'ingerenza da parte della criminalita'  organizzata  nel
tessuto socio-economico, che -  come  ripetutamente  evidenziato  dal
Consiglio di Stato - ha effetti inquinanti e  falsanti  il  libero  e
naturale sviluppo dell'attivita' economica nei  settori  infiltranti,
con grave vulnus, non solo per  la  concorrenza,  ma  per  la  stessa
liberta' e dignita' umana (ex multis Consiglio di Stato, sezione III,
24 aprile 2020, n. 2651)». 
    Tali profili di dubbia costituzionalita'  sono  stati,  peraltro,
ben  evidenziati  dalla  III  sezione  del  Consiglio  di  Stato  con
l'ordinanza  n.  6614  del  2020  nella  quale  si  legge:  «Ritenuto
meritevole di ulteriore approfondimento, in sede di merito,  il  tema
decisorio (intercettato dal secondo motivo di appello) relativo  alla
sospetta  incostituzionalita'  dell'art.  67  comma  8  del   decreto
legislativo n. 159/2011, come richiamato dal secondo comma  dell'art.
84,  da  vagliare  in  relazione  ai  canoni  di  proporzionalita'  e
ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione (in combinato con
gli articoli 25, 27, 38 e 41 della Costituzione), nella misura in cui
detta disposizione parifica -  ai  fini  della  determinazione  degli
automatici effetti interdittivi - alla situazione della condanna  per
gravissimi  reati   a   struttura   associativa,   finalizzati   alla
commissione di specifici delitti (espressione quindi di  un'attivita'
criminale organizzata di  carattere  economico)  la  diversa  ipotesi
della condanna per il reato  di  cui  all'art.  452-quaterdecies  del
codice penale anche nella sua variante non associativa,  pur  essendo
quest'ultima fattispecie non necessariamente correlata  ad  attivita'
della criminalita' organizzata (come, del resto, risulta in  concreto
accertato dalla sentenza di condanna riportata  dal  sig.  P  M).  Il
dubbio sulla ragionevolezza di tale previsione deriva altresi'  dalla
circostanza  che  la  condanna  per  il   reato   di   cui   all'art.
452-quaterdecies del codice penale (insieme alle ipotesi di  condanna
per i delitti  di  cui  all'art.  51,  comma  3-bis,  del  codice  di
procedura penale) nello stesso codice antimafia, all'art.  84,  comma
4, lettera a), e' opportunamente considerata come elemento da cui  e'
possibile inferire (senza, pero', alcun  automatismo  probatorio)  la
sussistenza di un rischio concreto di infiltrazione mafiosa  o  della
criminalita' organizzata, ai  fini  dell'adozione  di  un'informativa
interdittiva. Pertanto, il previsto effetto  interdittivo  automatico
della condanna per il reato  di  cui  all'art.  452-quaterdecies  del
codice penale, previsto dall'art. 67 del codice  antimafia,  potrebbe
risultare, allo stato, irragionevolmente sproporzionato rispetto alla
finalita' preventiva perseguita dal legislatore». 
    Da ultimo, e in generale sul  tema  dei  sistemi  di  automatismo
presuntivo, si segnala la recente sentenza 20 febbraio 2020,  n.  24,
con la quale la Corte costituzionale ha  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 120, comma 2,  del  decreto  legislativo  30
aprile 1992, n. 285 (Nuovo  codice  della  strada),  come  sostituito
dall'art. 3, comma 52, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n.  94
(Disposizioni in materia di sicurezza pubblica),  e  come  modificato
dall'art. 19, comma 2, lettere a) e b), della legge 29  luglio  2010,
n. 120 (Disposizioni in materia di sicurezza stradale) e dall'art. 8,
comma 1, lettera b), del decreto legislativo 18 aprile  2011,  n.  59
(Attuazione delle direttive n. 2006/126/CE e 2009/113/CE  concernenti
la patente di guida), nella parte in  cui  dispone  che  il  prefetto
«provvede» - invece che «puo' provvedere» - alla revoca della patente
di guida nei confronti di coloro che  sono  sottoposti  a  misura  di
sicurezza personale, di fatto  censurando  l'automatismo  tra  revoca
della patente e misure di sicurezza. 
    Tanto premesso, ai sensi dell'art. 23, secondo comma, della legge
11 marzo 1953, n. 87,  ritenendola  rilevante  e  non  manifestamente
infondata, il  T.A.R.  Piemonte  solleva  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 67, comma 8, del decreto legislativo n.  159
del 2011, come richiamato dal secondo comma dell'art. 84, nella parte
in cui, rinviando all'art. 51, comma  3-bis  del  codice  penale,  si
riferisce anche al reato di cui all'art. 452-quaterdecies del  codice
penale, anche nella sua forma non associativa, e quindi  nella  parte
in cui prevede l'automatismo di cui alla comunicazione antimafia  nel
caso di condanna per il reato di cui  all'art.  452-quaterdecies  del
codice penale anche nella sua forma non  associativa,  per  contrasto
con i principi di proporzionalita' e ragionevolezza di cui all'art. 3
della Costituzione, nonche' per contrasto con gli articoli 25, 27, 38
e 41 della Costituzione. 
    Il processo deve, pertanto, essere sospeso, ai sensi  e  per  gli
effetti  di  cui  agli  articoli  79,  80  del  codice  del  processo
amministrativo e 295 del codice penale,  con  trasmissione  immediata
degli atti alla Corte costituzionale. 
    Ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e  in  ordine  alle
spese e' riservata alla decisione definitiva.